Dalla pietra all’etere
2007
Dallo spazio con suo fratello
Il tempo, sotto la gravità insistente,
sentendo la materia come
uno spazio più lento, mi chiedo
con stupore ciò che non so.
Eduardo Chillida
La quotidianità della vita è intrisa di materialità; all’origine del mio lavoro c’è l’attrazione delle cose e il desiderio di rimanere dentro questa materialità, con tutto il suo spessore di concretezza e la sua prospettiva dell’oltre.
L’oltre, non come tempo futuro, ma come spazio in cui inoltrarsi, come prospettiva di significato, di conoscenza, di divenire, mi attrae, non in contrasto con la contingenza effimera delle cose, incontrata e cercata, non in alternativa all’ansia di libertà e di respiro dell’anima, ma via, condizione, luogo, di questa avventura possibile in cui l’anima conosce con più profondità se stessa.
Il bisogno di sfondare una costrizione spaziale, creare dimensioni che corrispondono a esigenze di respiro, di infinito, di libertà, mi induce ad utilizzare materiali come pietra, ferro, corda, creta o la mia stessa presenza, e media eterogenei, tra i quali, pittura, scultura, installazioni, video, fotografia, tutto in funzione di ciò che si vorrà esprimere. L’uso della materia m’impone uno scontro con la realtà, metafora dello scontro con il quotidiano, un misurarmi con le caratteristiche dei materiali stessi, strumenti del linguaggio, quasi in una necessità d’intervento e nello stesso tempo di contatto, di un lasciarsi guidare dalla materia stessa, coinvolti interamente, in uno scambio reciproco.
Il tempo della realizzazione di un’opera non diventa il tempo dell’astrazione, dell’evasione dal mondo reale, ma è il tempo della fatica e della pazienza, che costringe ad interrogarsi, a rivolgere lo sguardo dentro di sé e verso un oltre, pienamente in rapporto con il proprio ambiente e con il mondo, in sintonia con i propri ritmi interiori, in un’esperienza totalizzante.
Con le parole di Bill Viola “l’arte non deve essere una mera pratica estetica, deve avere dei poteri di trasformazione all’interno dell’individuo stesso, instaurare un processo di crescita e conoscenza attraverso misteri che non sono intesi per essere risolti, ma sperimentati e vissuti. L’arte deve essere come un richiamo al risveglio, del corpo, prima che della mente”.
L’uomo sente, prima di tutto, oscuramente il proprio corpo come entità fisica, diceva Francesco Arcangeli, sente di “esserci”, di esistere, in un “hic et nunc” che è il punto di incrocio nello spazio e nel tempo, nella geografia e nella storia, d’una sorte individuale.
La mia esperienza, o lo spunto letterario, in cui riconosco come la risonanza di un vissuto, si fanno immagine interiore e la concretezza dei materiali è come l’occasione per dirsi in un linguaggio nuovo, di ‘cose’ ricreate. L’opera diventa un’unità inscindibile di pensiero e di prassi.
C’è come una lotta tra un’immagine che nasce dentro di me e le caratteristiche del materiale stesso. Questo scontro-incontro con la materia mi porta ad avere una sempre maggiore attenzione alla realtà che mi circonda, fino ai piccoli dettagli, perché anche in quei frammenti apparentemente insignificanti c’è qualcosa che ci stravolge. Da ogni frammento, da ogni brandello di vita, è necessario, che la bellezza misteriosa ne sia estratta, come dice Baudelaire, “cavare l’eterno dal contingente”.
La provocazione e il suggerimento insiti nei materiali diventano stupore di vedere crescere attraverso la pazienza, il silenzio, qualcosa che supera quella che è l’intuizione iniziale fino a materializzare un’urgenza del cuore.
In un’ interazione con il materiale lascio che le cose in un certo senso accadano, fino a che l’opera comincia a vivere una vita propria. Il ‘creare’, “è un modo speciale di pensare” è un momento di scioglimento di ogni tensione, un lasciarsi andare, un librarsi a mezz’aria… così le pietre riescono a volare; la leggerezza che cerco trascende il peso della realtà.
In questo percorso di ricerca artistica, non ci si può ritrarre da una domanda fondante: cos’è l’arte oggi? Domanda che non presuppone risposte certe ed esaustive, anzi solleva questioni, che per lo più nascono, come contraccolpo, di un’accresciuta conoscenza delle cose indagate. In questo sta la positività della ricerca e il suo autentico progresso.
Chiedersi che cos’é l’arte, diceva il critico e storico dell’arte Roberto Pasini, é un po’ come chiedersi che cos’é la vita, soprattutto se a chiederselo é un artista.
Creare è come vivere, nel momento in cui s’intende per vita la capacità di reinventare ogni giorno la realtà e mantenere di fronte ad essa un comportamento di accettazione stupita, in una sorta di accerchiamento della realtà, di possesso conoscitivo del vero.
L’artista vede, guarda, sente, riflette, conosce, sceglie, manipola, anche se il mondo è già là, offerto a noi prima di ogni giudizio e prima di ogni ragionamento, così come noi siamo già esposti al mondo in quel contatto semplice che precede ogni giudizio, ogni riflessione e questo contatto passa prioritariamente attraverso la nostra corporeità.
“Visibile e mobile, il mio corpo è annoverabile fra le cose, è una di esse, è preso nel tessuto del mondo[…]Poiché le cose e il mio corpo sono fatti della medesima stoffa, bisogna che la visione si faccia in qualche modo in esse, o, ancora, che la visibilità manifesta delle cose si accompagni in lui ad una visibilità segreta: ‘la natura è all’interno’, dice Cézanne. Qualità, luce, colore, profondità, che sono laggiù davanti a noi, sono là soltanto perché risveglino un’eco nel nostro corpo, perché esso li accolga”. Attraverso le impressioni e le percezioni subcoscienti, il mondo entra nello sguardo dell’artista e l’artista si offre al mondo nel momento in cui le restituisce.
Vedere, toccare, annusare, ascoltare… questa immediata concretezza non deve portare ad una esclusiva conoscenza sensibile, perché la realtà non si esaurisce nelle cose ma si coglie attraverso le cose, per cui l’opera diventa strumento e mezzo di comunicazione tangibile di una realtà più profonda e ideale.
Vedere l’invisibile è una capacità che deve essere sviluppata in questo scorcio di ventesimo secolo, già diceva Bill Viola nel 1993.
“Molte opere d’arte, oggi, ti gettano addosso un carico di significati e ti dicono: ‘Ecco questa è la guerra’. L’artista o creatore non è più tale, bensì un testimone che deve soltanto rendere conto o attestare perché non essendoci la possibilità di dar forma né di creare senso, si sceglie di darne uno già stabilito chiaro e privo di mistero”.
“L’idea dell’arte per l’arte e quella dell’arte per il significato, sia esso religioso politico o etico, sono le due estremità di una falsa concezione dell’arte. L’opera d’arte produce un segno che va al di là di se stessa“ lasciando un’impronta nel tempo, e oltre il tempo, coinvolgendoci tuttora.
Siamo tuttora coinvolti, perché, come dice Maurice Merleau–Ponty, nel suo splendido saggio L’occhio e lo spirito, “l’“istante del mondo” che Cézanne voleva dipingere, e che è da gran tempo passato, ci viene ancora incontro dalle sue tele e la sua montagna Sainte-Victoire si crea e si ricrea da un capo all’altro del mondo, in maniera diversa”.
Così come anche“l’istante del mondo”, colto da Jan Van Eyck in quel lontano giorno del 1434, nell’ opera I Coniugi Arnolfini, ci si ripropone e ci coinvolge come un qui ed ora di cui siamo testimoni. L’istante colto, “fotografato”, prende significato e valore dalla prospettiva creata dallo specchio e, nello stesso tempo, il modo in cui viene offerto al nostro sguardo afferma la concezione di ogni istante del tempo.
Ogni istante ha un valore; l’istante umano, anche il più banale, in questo caso il momento di un matrimonio borghese normalissimo, quel gesto di tenersi la mano, fra le cose comuni della quotidianità, assume una valenza storica, ha una prospettiva, un destino di compimento connaturale ad ogni fatto umano.
Così anche nello Sposalizio della Vergine di Raffaello, il gesto di Giuseppe, che infila l’anello nel dito di Maria, acquista un significato simbolico importante, in prospettiva la nascita della Chiesa, grazie al punto di fuga, che trovandosi esattamente nella porta aperta del tempio retrostante, apre lo spazio verso l’infinito.
In ogni grande opera d’arte, la realtà è detta con uno spessore di significato che la rende nuova e sempre attuale, risultato di una visione interiore che nasce da una sorta di accerchiamento della realtà, di possesso conoscitivo del vero.
Accerchiamento che richiede un tempo, il tempo di convivenza con le cose stesse e che forse, ci permette di conoscerle. Assediare la realtà, dalla pietra all’etere, costringendola a rivelarci il suo segreto. “Io ero là, in ascolto…Credo che il pittore debba lasciarsi penetrare dall’universo, e non volerlo penetrare…Attendo di essere interiormente sommerso, sepolto. Forse dipingo per nascere”.
La nostra condizione umana ci rimanda continuamente al nascere, nel senso Arcangeliano, come momento drammatico e decisivo di una dinamica; dinamica che la vita imprime all’uomo, già nel suo ritmo biologico, di nascere, crescere e morire, e nella sua tensione al compimento che attraversa tutta la vita; quindi tempo, che non è il tempo della fretta, dell’ansia come nella condizione contemporanea, ma è il tempo dell’armonia, della riflessione e del guardarsi dentro, poiché l’occhio interiore è il motore più autentico della ricerca, poetica e personale.
E’ il tempo della cattura delle cose, del mondo visibile, ma non per racchiudere dentro di se ma per spalancare un mondo interiore: dal campo percettivo e sensoriale all’avventura della conoscenza.
Nascere, come evento nel tempo e nello spazio; spazio come sede dell’accadere, del fare e lasciare spazio od occupare spazio, ambito aperto entro il quale le cose si lasciano conoscere.
Così, quasi un nascere, l’opera d’arte si fa evento, nonostante la sua “staticità”, corrisponde alla mutevolezza della forma, del pensiero e del percorso della vita stessa dell’uomo; non è mai pienamente compiuta, ma, nel dialogo con chi la accosta, cambia, chiarisce, approfondisce, conferma, esalta, interroga.
“Dallo spazio con suo fratello il tempo, sotto la gravità insistente, sentendo la materia come uno spazio più lento, mi chiedo con stupore ciò che non so”.
Alessandra Gellini
BIBLIOGRAFIA
- Bill Viola, Vedere con la mente e con il cuore – Gangemi ed. 1993
- Georges Didi-Huberman, Ninfa moderna Saggio sul panneggio caduto – Il Saggiatore 2004 ed. originale 2002
- AAVV Del Contemporaneo Saggi su Arte e Tempo – Bruno Mondadori ed. 2007
- Georges Didi-Huberman, Gesti d’aria e di pietra Corpo, parola, soffio, immagine – Diabasis ed. RE 2006
- M.Heidegger, L’arte e lo spazio – Il Melangolo GE 1979
- M.Heidegger, Essere e tempo – Longanesi ed. MI 1976
- Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito – SE ed.MI 1989 ed.originale 1964
- Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della Percezione – Bompiani ed. MI 2003 ed. originale 1945
- Hannah Arendt, Vita Activa – Tasc. Bompiani 1964
- Roberto Pasini, Forme del Novecento Occhio, Corpo, Libertà – Pendragon BO 2005
- Harold Rosenberg, L’arte è un modo speciale di pensare – Umberto Allemandi TO 2000
- Francesco Arcangeli, Natura ed espressione nell’Arte Bolognese – Emiliana, Minerva Edizioni BO 1970